Come promesso, ho rivolto alcune delle vostre domande sull’emergenza Covid19 al professor Massimo Galli, direttore e responsabile Malattie infettive dell’ospedale Luigi Sacco di Milano, che in queste settimane è in prima linea nella cura delle persone contagiate e molto gentilmente ci ha dedicato un po’ del suo tempo.
Si tratta di una breve intervista che ho realizzato in “punta di piedi” perché davvero chi svolge una funzione come la sua in questo momento non ha il tempo nemmeno per fermarsi un attimo.
Ovviamente l’ho ringraziato mille volte – e continuerò a farlo – per quello che fa (come ringrazio tutti gli operatori, gli infermieri e i medici: speriamo di ricordarci del loro valore e del loro sacrificio anche quando l’emergenza sarà passata).
Ecco il resoconto del nostro dialogo.
Come giudica l’evoluzione della diffusione del virus, e cosa ci può dire sul tempo che ci vorrà per vedere qualche miglioramento?
In Italia, in particolare nel Lodigiano, il virus ha circolato indisturbato per quasi quattro settimane, a partire dall’ultima settimana di gennaio, prima che emergessero i primi casi e si adottassero misure di contenimento. Quanto è bastato per infettare migliaia di persone anche al di fuori della zona rossa del lodigiano. Una situazione simile a quella di Wuhan, dove ha probabilmente circolato per più di un mese prima di dar segno evidente di sé. Se il declino dell’epidemia a Wuhan si è cominciato ad apprezzare, a seguito di misure anche più drastiche delle nostre, solo nei giorni scorsi, vien fatto di pensare che, se i provvedimenti adottati funzioneranno, i risultati li vedremo a fine aprile. Ma si tratta comunque di previsioni azzardate.
Perché un contagio così intenso proprio in Lombardia?
In Lombardia il virus è entrato con una persona che si è infettata nel contesto di un episodio epidemici circoscritto avvenuto a Monaco di Baviera in seguito a riunioni a cui ha partecipato una persona venuta da Shanghai. È possibile che questa unica immissione sia stata responsabile dell’intera epidemia. Il fatto che l’infezione non sia pervenuta direttamente dalla Cina ha reso vane le misure restrittive sui voli diretti e non ha reso possibile il suo immediato riconoscimento. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti e rappresentano un’importante lezione anche per gli altri paesi europei.
L’Italia sembra aver anticipato una situazione che si sta allargando al resto d’Europa. Come giudica quella teoria avanzata dalle autorità britanniche, quell’idea, almeno cosi è stata percepita, di non porsi enormi problemi rispetto al contagio, evitando così di frenare lo sviluppo economico. Ha senso confidare nell’immunità di gregge?
In Europa, dai dati che emergono e per i ritardi nella risposta, temo che molte nazioni si avviino a ripetere l’esperienza italiana. Mi sembra che l’impegno nel circoscrivere i primi focolai sia spesso stato insufficiente. Convengo che non è facile, per i politici, prendere certe decisioni, ma le elezioni in Francia sono state un segnale di macroscopica sottovalutazione e di confusione per la gente. La posizione del premier britannico di accettazione passiva dei morti, prevalentemente anziani e poveri, si commenta da sola, mentre l’uscita sull’immunità di gregge è pure nonsense. Non sappiamo neppure se l’infezione conferisce ai guariti un’immunità permanente e blaterare su basi tanto insufficienti che se il 60% dei britannici si facessero l’infezione allora si instaurerebbe l’immunità di gregge è nella migliore delle ipotesi una semplice ipotesi su un’ipotesi, nei fatti una baggianata. Nel passato malattie come il morbillo e il vaiolo, che hanno un numero riproduttivo basale assai più alto, ci hanno messo generazioni (secoli) per diventare malattie dei bambini, cioè in grado di dare epidemie solo quando si era formato un numero di suscettibili sufficiente a vanificare l’immunità di gregge. Rimanendo, tuttavia, sempre presenti nella popolazione. Questo virus ha un R0 più basso, ma molta più gente da infettare in un mondo oggi sovrappopolato e globalizzato. Liberarsene o contenerlo attraverso l’immunità di gregge mi sembra abbastanza utopico. Il 60% dei Britannici fa quasi 40 milioni di persone. Anche considerando un molto ottimistico 3% di decessi, il totale farebbe un milione e duecentomila morti.
Quali strade deve conoscere il sistema sanitario dopo il COVID19? Questa crisi cosa lascerà in eredità in termini di priorità e di scelte?
COVID 19 lascerà un segno indelebile. Preconizzare come cambierà la sanità è molto difficile. In qualche modo andrà superata una regionalizzazione che ha portato a contraddizioni assurde, per non parlare degli sprechi e delle inefficienze in alcune regioni. Mi auguro che la rete dei reparti di malattie infettive, mai sviluppata fino in fondo e da anni sotto attacco di iniziative locali volte solo a tagliare, ne esca rafforzata e che il suo ruolo sia finalmente indiscusso. E che i letti di rianimazione siano finalmente in numero adeguato alle esigenze della popolazione, con un margine per la copertura di eventuali emergenze. A dover cambiare radicalmente credo debba soprattutto essere la medicina territoriale, le cui inadeguatezze stanno chiaramente emergendo in questa situazione, coperte solo dal clamore mediatico incentrato sulle enormi difficoltà degli ospedali a far fronte alla marea montante di pazienti. Questa guerra si vince nei territori, ove le armate sono deboli e insufficientemente coordinate. Poiché una crisi è anche un’opportunità, mi auguro che i programmi di telemedicina che per forza di cose si dovranno sviluppare per seguire la gente a casa e le quarantene rimangano come importante eredita per seguire in futuro una popolazione sempre più anziana.
Le parole di Massimo Galli sono importanti, in alcuni casi sono pietre.
Come lo sono le sue affermazioni di queste settimane, le riflessioni dei suoi colleghi, le testimonianze di medici, infermieri, pazienti, famigliari.
La centralità della salute, della salvaguardia e del rilancio del Servizio Sanitario Nazionale, un sistema potente e unico ma pure sottofinanziato e colpevolmente trascurato devono diventare un’ossessione del Paese e più in generale il banco di prova per la nuova Europa. Poichè quella vecchia sta soccombendo.
Ce ne dovremo ricordare quando l’allarme sarà cessato e l’attenzione di tutti si sarà spostata altrove.