La notizia di questa notte sul raggiungimento dell’accordo sulla Direttiva su salari minimi adeguati è assolutamente straordinaria, un grande passo avanti verso la costruzione di un’Europa sociale. Si affronta in maniera diretta e chiara la questione fondamentale dei salari definendo la necessità che questi debbano consentire una vita dignitosa, obbiettivo da cui siamo oggi ancora lontani. Avere salari minimi adeguati, aumentarli quindi (laddove esiste una definizione per legge), vuol dire combattere la “povertà lavorativa”. E vuol dire anche combattere fenomeni di dumping salariale. Il fenomeno dei salari bassi è evidentemente molto più accentuato in alcuni paesi europei, lavorare affinchè vengano aumentati è un elemento di dignità e di progresso per quei lavoratori, ma anche un elemento di riequilibrio del mercato europeo, che va a interrompere una pericolosissima competizione al ribasso sulle condizioni di lavoro che ha stimolato purtroppo numerose delocalizzazioni. La Direttiva europea individua anche la contrattazione collettiva come uno strumento centrale per l’aumento dei salari e ne richiede un consistente rafforzamento. È vero, non esiste un obbligo per l’Italia di introdurre un salario minimo legale, ma anche al nostro paese (guardando i numeri degli ultimi 30 anni verrebbe da dire “soprattutto” al nostro paese) arriva un messaggio forte e chiaro: servono strumenti netti per garantire salari dignitosi, e per fare questo oggi la strada passa anche per l’introduzione di un salario minimo legale. Senza dimenticare la necessità (espressa anche nella direttiva) di dare maggiore forza alla contrattazione collettiva, che vuol dire anche avere una legge sulla rappresentanza sindacale che, tra le altre cose, metta fine alla vergogna dei contratti pirata.Insomma la nostra lotta in Europa è andata a segno. Ora l’Italia non può tirarsi indietro.
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